Pascal
Spiagge sterminate, occhiali da sole e droghe leggere, siamo in…Svezia, già, sembra strano ma i Pascal sono svedesi, suonano una sorta di surf con parecchie influenze, come tutte le cose migliori del resto, a tratti molto chitarrosi, come piace a me, abbastanza incazzati e molto garage, diciamo pure pulp. Nella loro musica non è tutto risplendente e allegro, la mancanza del sole californiano in realtà si fa sentire abbastanza, e le atmosfere di “Galgberget” sono per molti tratti in un certo senso oscure e non propriamente gioiose (ascoltate la title track ad esempio), insomma più che scene di surfisti con ipod stretto in mano, in alcuni brani mi fanno tornare in mente delle sequenze splatter di “Natural Born Killers”, sparatorie forsennate e urla a squarciagola. Tappeti di basso e chitarre con pennate (o plettrate fate voi) violente, mi sembra un buon modo per definire quello che fanno. Le voci sono due, maschile e femminile, che in molti brani si inserisce e prende quasi il sopravvento. Il risultato di tutto è un suono acido quanto basta, anche se in definitiva si tratta per lo più di giri e ritmi classici. In alcuni passaggi mi ricordano le chitarre dei Jesus and Mary Chain, ma non quelle ultradistorte di “Psychocandy”, intendiamoci, siamo pur sempre in zone surf! Questo disco sortisce uno strano effetto, l’ho ascoltato più volte, non l’ho mai amato, ma sono convinto si tratti di un gruppo che crede nel proprio sound, non so se riesco a spiegarmi, e che se dal vivo “tira” come nell’album allora mi farebbe piacere vedere in azione.